Note biografiche e personali

Il mio primo quadro ad olio è del 1975 , a soli 8 anni. Inizio tuttavia ad acquisire un approccio autonomo e consapevole alla pittura solo verso la fine degli anni Ottanta: la passione per il cinema e, soprattutto, per la fotografia, mi indusse a riflettere sulla funzione della pittura figurativa nel momento in cui le evoluzioni tecniche delle macchine fotografiche (ancor prima della rivoluzione digitale) consentivano con la riproduzione delle immagini possibilità di espressione e di manipolazione del reale e del dettaglio, impensabili nella rappresentazione pittorica.
L’entusiasmo per la fotografia mi portò a realizzare come l’opera pittorica fosse, almeno nella funzione di riprodurre la realtà, oramai in massima parte superata dalla rivoluzione tecnologica e dalle nuove arti audiovisive.
Il mio primo quadro ad olio

Il mio primo quadro ad olio del 1975

Siamo anche nel periodo in cui nacquero nuove forme espressive originali di contaminazione tra immagine in movimento e commento sonoro: è il tempo del grande cinema visionario di Kyezlowsky, Kurosawa, Lynch, e, soprattutto, di Wenders, in cui l’immagine assurse a primario strumento di comunicazione inconscio e simbolico al pari della narrazione. Il cinema divenne archetipo del sogno, dell’inconscio e del deja vu. Ma è anche il tempo della grande fantascienza visionaria di Blade Runner e Tron, degli Spielberg, Zemekis e Lucas contrapposti al realismo di Scorsese, Stone, De Palma e Leone.
Anche la mia grande passione per la musica giocò un ruolo fondamentale nelle mie scelte e nella mia formazione successiva. Proprio in quel periodo stava cambiando la fruizione collettiva della musica, sempre più legata all’immagine: nacquero i video musicali in cui la musica era parte di una narrazione, ultimo lascito culturale dell’arte musicale del secolo.
Tuttavia, furono le grandi conquiste artistiche delle grandi, immense Band degli anni ’70 (Genesis, Pink Floyd, Led Zeppelin, Bowie, Queen) a lasciare in me una traccia più profonda, facendomi comprendere il valore e l’importanza fondamentale di percorsi sperimentali nuovi e senza i quali non avremmo potuto godere di capolavori assoluti che hanno rivisitato profondamente i canoni stessi dell’arte musicale.
Abbandono così l’idea di potermi esprimere compiutamente nella riproduzione “figurativa” e abbraccio l’idea che il quadro, debba invece costituire, per me, espressione di un mondo interiore: che non è fotografabile ma che è altrettanto reale, se consideriamo che i sentimenti, le emozioni, accomunano tutti gli uomini e, dunque, costituiscono nostro patrimonio identitario, dunque, di valore universale.
In questo nuovo percorso di ricerca interiore, ho inteso seguire -allo stesso tempo- due direttrici parallele, ben distinguibili ma, in realtà, connotate da una matrice identitaria comune.
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"New York" Tempera - 1990


Da un lato, l’assenza di regole, la casualità, la libertà di una espressione primitiva ed inconscia, volta ad attribuire centralità ad anima ed ispirazione, in un mondo di colore, estraneo alle regole accademiche; dall’altro lato, la seduzione per linee, forme e simbologia, scarabocchiate sulla carta per anni al liceo senza consapevolezza ( percependone solo la loro intrinseca bellezza) per poi giungere a comprendere che, per me, numeri, linee, figure geometriche, vettori, simboli, hanno un grande fascino e potenza evocativa. Sento nei numeri, nella geometria, nelle scienze esatte, la tensione dell’uomo verso la conoscenza, per superare i propri limiti e comprendere le leggi di natura, per svelare i misteri dell’Universo.

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"Evoluzione" Tempera - 1992

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opere fatte principalmente di figure “geometriche”

La scelta volta a trasferire sulla tela quei segni e simboli è stata dunque un passo naturale, che mi pare particolarmente emblematico nel quadro “evoluzione” del 1992 , in cui l’uso dei vettori rappresenta le forze della natura e la tela diviene campo di interazione tra le stesse, come in un universo parallelo. Quando l’ispirazione mi conduce verso opere fatte principalmente di figure “geometriche” (ma anche di numeri, linee, curve) sono il più delle volte evocative dell’incertezza umana nell’incomprensione dei misteri e delle grandi questioni esistenziali e cosmiche: una celebrazione intima del fascino dell’ordine universale, governato da regole (alcune note, le più a noi ignote). Una “vena” quest’ultima destinata a mai sopirsi emergendo ciclicamente in alcune opere “fuori dal coro” che si distinguono nettamente dall’altra sperimentazione, quella libera ed informale, quest’ultima che invece ho avviato inizialmente su carta , supporto che non abbandonerò anche in seguito, per poi giungere alla tela ed al plexiglass .
 
Il processo di maturazione nella linea espressiva informale è stato lento essendo più legato all’ispirazione che ad un vero e proprio percorso, sebbene sia indubbio che Mondrian, Pollock, Mirò e soprattutto Kandinsky abbiano segnato profondamente, più di altri, il mio gusto, avendo una influenza determinante nelle mia produzione come emerge anche in maniera visibile in alcuni quadri. Al maestro russo sono profondamente legato condividendo intimamente anche le riflessioni contenute negli scritti che ci ha lasciato in eredità ad imperitura testimonianza del suo genio: ne “Lo spirituale dell'arte” aveva teorizzato che <<il colore ha un odore, un sapore, un suono. Può suscitare effetti diversi sullo spettatore: quello “fisico”, di primo impatto basato su sensazioni “a pelle”, momentanee, e quello “psichico”, riferibile alla vibrazione dello spirito che il colore determina quando raggiunge l’anima>>.
Anche la lettura di “punto, linea superficie” di Kandinsky avrà un ruolo per me determinante costituendo fonte di raggiunta consapevolezza e conferma rispetto ad alcune scelte che avevo già istintivamente effettuato, marcando uno speciale legame con il Maestro russo che mi porterà, nel 2018, a realizzare alcuni quadri con ampie, volute e dichiarate citazioni verso alcuni “suoi” simboli , in una sorta di fusione ispirata e celebrativa, mai emulativa (non oserei mai neppure pensare ad un sacrilegio simile).
Nel 2017 l’incontro con le galleriste Zina D’Innella e sua figlia Vera Carofiglio, involontariamente mediato dalla mia irrefrenabile mamma, da sempre protagonista della vita sociale della mia città, portando avanti, dentro e fuori del suo salotto, il tema dell’emancipazione della donna e, soprattutto, del suo ruolo attivo nel definire una diversa e più alta visione sociale e culturale della città. Idee di avanguardia condivise da molti suoi amici, in massima parte esponenti della cultura barese. È proprio la sua amica gallerista Zina D’Innella a notare alcuni miei quadri durante una cena a casa di mia madre ed a cogliere per prima scintille di originalità, incoraggiandomi ad esporre, titubante, presso la sua Galleria, gestita con la figlia Vera, quadri sin lì realizzati solo per me stesso. Questo invito, ben prima che si giunga all’esposizione di opere, darà vita ad un mio nuovo approccio all’arte volto ad iniziare un percorso sperimentale più consapevole, che si evolverà in un brevissimo arco di tempo in una prepotente esigenza di dipingere rivelando una vena creativa -anche per me- inaspettata: è un periodo particolarmente fecondo in cui per mesi sento l’esigenza di dipingere tutte le notti, lasciando pochissimo spazio a Morfeo.
Incoraggiato dai consensi ricevuti durante la prima mostra, realizzo il progetto del laboratorio, sia quale luogo fisico intimo dedicato all’esperienza artistica, sia, soprattutto, quale spazio nel quale la mia esigenza espressiva divenga parte integrante della mia quotidianità.
L’attività di pittore è così diventata da anni non solo parte della mia giornata ma, posso dire che il mio laboratorio è diventato una seconda casa, il luogo dell’anima in cui si consuma il dialogo tra la tela e la mia parte più intima.
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opere fatte principalmente di figure “geometriche”

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opere fatte principalmente di figure “geometriche”